Jacques Lacan, Ancora.

"l'inconscio non è che l'essere pensa, l'inconscio è che l'essere, parlando, gode, e, aggiungo, non vuole saperne di più.
Aggiungo anche che questo vuol dire non sapere assolutamente niente".


J. Lacan, Il Seminario XX, Ancora.


25 ott 2013


Sintomo e reale, una relazione d’amore?
Una lettura di due testi di Papers 0 e 1
Come fare sintomo del reale? e L’amore e il reale.
Dai due titoli, questo: “Sintomo e reale, una relazione d’amore?”.
 

Vorrei segnare alcuni punti del lavoro di segreteria portato avanti nella serata del 23 ottobre a Rimini, cercando di includere quanto avevo esposto con ciò che mi pare ne abbia fatto seguito.

Sintomo e reale arrivano ad avere una relazione tra loro seguendo una temporalità d’apres-coup, dopo taglio, come ricorda Troianosky: «è stato in un secondo momento» anche se «ciò ex-sisteva da molto tempo». Qualcosa di reale si presenta fin da subito ma solo più tardi prende questa dimensione: reale come termine che Lacan inventa per nominare qualcosa che non ha nome, non si può dire e che occorre contestualizzare per circoscrivere. Non si tratta di una dimensione supplementare alla Verità, al Sapere e al Senso, ma è fuori serie, quasi come un effetto che non può prodursi, direi metaforicamente, nella stessa catena… di montaggio. Ciò che si produce su quella linea rimanda alla speranza de L’interpretazione, l’ultima parola che dice il vero sul vero, speranza che confonde le acque e crea difficoltà nella pratica. Un evento per me: a scuola con una prof. intervengo su un punto dicendo che quel ragazzo agisce in modo inconsapevole così che il ragionamento lì non serve. Emerge la sorpresa della prof e la mia perplessità di fronte a questa sorpresa: solo dopo mi si impone la questione della mia supponenza, l’illusione di sapere una verità che ella ignora. Un altro modo di trattare per me il punto di angoscia implicato nella vicenda. Un breve rimando: «il soggetto è sempre e soltanto supposto» (J. Lacan, Seminario XXIII pag. 47), si tratta del soggetto supposto sapere? Il reale come necessario allora si impone per tenere aperto il problema di come orientarsi nella pratica attuale, dove, scrive la Troianosky, il luogo simbolico è diverso dai tempi di Freud e Lacan così che i sintomi sono offerti dal soggetto alla scienza per essere subito risolti oppure corretti dalla tecnica. Il transfert diventa il campo proprio in cui possono prendere un’altra strada, strada che si presenta anzitutto secondo la via dell’amore. Di che amore si tratta? Del sentimento comico che Naveau riprende dal Seminario V di Lacan intorno a La scuola delle mogli di Molier? Un amore da commedia: un amore da ridere, dove tutta la verità non toglie l’inganno di fondo, credere che ciò che è stato non poteva che essere così, che l’incontro era predestinato, quando invece arriva come arriva, senza sorprese ed inaspettato. Il transfert è allora un nuovo amore rispetto a ciò? Si tratta invece di un amore che cede il posto al sapere? Invece di giocare direttamente la partita ci si interessa a scoprire secondo quali regole la si gioca. Invece di esigere la prova d’amore si prova l’amore, si esige la sua prova del nove per verificare dove e quando i conti non tornano. Di fronte a ciò si tratta di «un certo coraggio» di fronte a quello che nei conti non può che non tornare? La parola coraggio può portare fuori strada, verso un ideale da seguire ma non si può trattare di questo. Sarebbe interessante allora indagare l’atto e il coraggio, come due termini da mettere in tensione e questione.

Due versione dell’amore dunque e due versioni della psicoanalisi, come riporta Bruno De Halleux nella testimonianza di passe Il gioco dell’amore e del caso: una versione triste che si incaglia davanti a ciò che Laurent chiama «lasciare il tavolo del “gioco dell’amore e del caso” racimolando il sapere che si è acquisito sul proprio godimento e a cedere la armi dicendo: “sarà sempre così”», e una versione allegra della psicoanalisi dove «sapere se si ama o se si odia ed essere conseguenti alla decisione che si prende. […]. È una concezione della psicoanalisi nella quale non si ritira la propria puntata, in cui si continua a giocare con l’Altro» dove «si resta attaccati a un’altra parola rispetto alla parola d’amore, si resta attaccati al filo della parola e all’impegno in questa parola».

                                                                                                                      Omar Battisti

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