Jacques Lacan, Ancora.

"l'inconscio non è che l'essere pensa, l'inconscio è che l'essere, parlando, gode, e, aggiungo, non vuole saperne di più.
Aggiungo anche che questo vuol dire non sapere assolutamente niente".


J. Lacan, Il Seminario XX, Ancora.


31 gen 2012

SERATE DELLA SEGRETERIA 
 2011/2012
SULL'INTERPRETAZIONE
14 dicembre 2011
A proposito dell’interpretazione in psicoanalisi
di Marianna Matteoni

Se l’analizzante ha il compito di seguire la regola fondamentale che prescrive la libera associazione, all’analista spetta l’interpretazione. In entrambi i casi si tratta di parole, è la scommessa della psicoanalisi: come intervenire sulla sofferenza (che sia del pensiero, che sia del corpo) e provocare un cambiamento solo con la parola.
Il presente intervento è diviso in tre tempi:

1. l’ambiguità dell’interpretazione in Freud,
2. Lacan contro Lacan,
3. le conclusioni.

1. Freud e l’interpretazione
L’interpretazione non è nata con la psicoanalisi perché già le religioni e la filosofia ne facevano uso, ma si è imposta come un’esigenza fin dagli albori della psicoanalisi, quando Freud scopre che sintomi, sogni e lapsus avevano un senso, erano legati intimamente alle esperienze della vita dei pazienti, erano la conseguenza di un lavoro psichico (rimozione, condensazione, spostamento) e del conflitto tra forze contrastanti. In un primo tempo Freud pensa che basti comunicare al paziente il senso rimosso del sintomo o del sogno per aprire le porte alla guarigione. Il sogno dell’iniezione di Irma, del 1895, è paradigmatico: lei non ha voluto accettare la spiegazione che Freud le ha fornito a proposito dei suoi sintomi, perciò è ancora ammalata .

In Psicoanalisi “selvaggia” del 1910 Freud rovescia questa posizione, sostiene che il paziente non è ammalato perché non sa; se si trattasse solo di un non sapere basterebbe ascoltare una conferenza o leggere dei libri per guarire. C’è qualcosa in più che resiste all’interpretazione. Questo trova una serie di conferme con la scoperta della ripetizione e della pulsione di morte, nel 1920 , e con l’emergere della reazione terapeutica negativa nel 1922 , quando accade che alcuni pazienti, invece di migliorare, rimangano pervicacemente attaccati alla malattia, come se fosse un “bisogno”.

Infine, in uno degli scritti del 1937, Costruzioni nell’analisi, Freud quasi disconosce l’interpretazione, limitandone il raggio d’azione a piccoli elementi di un sogno, e le preferisce il significante “costruzione”. Dunque il compito dell’analista è elaborare una costruzione relativa a un lungo periodo della vita del paziente, che il paziente potrà confermare o no nel corso del trattamento. L’interpretazione o costruzione dovrà essere comunicata al paziente solo dopo che si sia instaurata la traslazione, non prima. Essa si rivelerà giusta solo se l’analizzante produrrà nuovo materiale nelle sedute successive. Tuttavia per Freud l’interpretazione è essenzialmente edipica, è un intervento che punta a riportare alla luce ciò che è stato rimosso e che non è accessibile, porta senso laddove sembra non esserci alcuna logica, ha di mira un desiderio che si esprime solo in modo mascherato e che produce sofferenza. Inoltre permane una certa ambiguità nei significanti “interpretazione”, “costruzione”, “informazione”, che spesso sono utilizzati come sinonimi.

2. Lacan contro Lacan
Anche Lacan nella clinica si imbatte in qualcosa di impossibile, di inassimilabile: è il desiderio in quanto “indistruttibile”, come lo definisce Freud.

Nell’insegnamento di Lacan scelgo di focalizzare un punto preciso poiché ritengo che abbia conseguenze fondamentali su ciò che sarà concepito come interpretazione: è quel momento particolare che Miller ha chiamato Lacan contro Lacan , un rovesciamento che non viene esplicitato nel momento in cui si compie, ha una collocazione temporale nell’Istanza della lettera e si riverbera su tutto ciò che verrà. Il testo L’istanza della lettera del maggio 1957, contemporaneo al Seminario IV, segna un giro di boa, il passaggio dalle leggi della parola alle leggi del linguaggio, dall’intersoggettività allo strutturalismo.

Lo schema L, mediante l’opposizione fra i due assi, immaginario e simbolico, illustra bene le leggi della parola: l’asse immaginario a-a’ veicola la parola vuota del discorso corrente (fatto di immaginario, narcisismo, illusione), l’asse simbolico S-A veicola la parola in una relazione fra due soggetti. L’analista è l’Altro che dice la verità sull’essere del soggetto, che riempie gli spazi “bianchi” della sua vita, porta alla luce ciò che è rimosso, riconosce il soggetto come desiderante: il desiderio del soggetto è desiderio di riconoscimento. L’Altro è un soggetto al pari del soggetto, con la sua parola gli conferisce un’identità. In questo caso l’interpretazione è un punteggiatura, una sottolineatura di ciò che l’analizzante dice per arrivare alla sua verità. In sostanza, è la posizione di Freud.

Le leggi del linguaggio, invece, presiedono al funzionamento dell’ordine simbolico, ma qui non si tratta più della relazione fra due soggetti, bensì della catena significante che preesiste all’esistenza del singolo soggetto e lo determina come effetto. Il matema che le rappresenta è l’algoritmo di De Saussure rovesciato, S/s. Lacan ne fornisce una nuova lettura: sottolinea la rottura dell’unità del segno linguistico, la non coincidenza fra significante e significato, la barra fra i due è un limite invalicabile. L’Altro non è più un soggetto, ma l’ordine simbolico stesso, disumanizzato. I significanti si articolano secondo la metafora e la metonimia, la produzione del senso non pertiene al soggetto, che è piuttosto mortificato, un mero prodotto lui stesso. L’identità è impossibile a questo livello. Il desiderio non ha a che fare con il riconoscimento ma esso scivola fra i significanti, è metonimico, dunque inafferrabile. Questa nuova prospettiva trova la sua conseguenza nel 1958 con la Direzione della cura, in cui Lacan sostiene che il desiderio è da interpretare. L’interpretazione diventa allusiva, metonimica, qualcosa sfugge, qualcosa non può essere detto; il desiderio deve essere preso alla lettera perché non si tratta di decifrarne il senso; sfuggendo nella catena significante esso non si estingue. In questo scritto il desiderio si sgancia definitivamente dall’esigenza di riconoscimento, essendo esso incompatibile con la concezione di un desiderio metonimico che non trova mai il suo oggetto. Il dito di San Giovanni rivolto verso l’alto sembra indicare proprio ciò che non può essere detto, S(A/).

A partire dal significante “risonanza” che appare in Funzione e campo e ritorna fino alla fine dell’insegnamento, in “Il principio dell’ininterpretabile” Leonardo Gorostiza distingue una risonanza semantica e una a-semantica nell’interpretazione dell’analista. La risonanza semantica proviene dall’interpretazione secondo le leggi della parola: l’analista è collocato nel luogo dell’Altro, lo rende consistente, e c’è uno scivolamento pericoloso verso la suggestione perché gli interventi dell’analista spiegano, decifrano, interpretano… L’analista è collocato nel posto di colui che è depositario del senso e pronuncia la formula classica: “Ciò che lei vuole dire è…”.

La risonanza a-semantica è indicata nella Direzione della cura come conseguenza dell’adozione delle leggi del linguaggio. In modo allusivo, per via metonimica, la parola può indicare l’oggetto ma in quanto causa del desiderio (l’oggetto attorno a cui la pulsione farà il suo giro). L’interpretazione non è più a livello del significato ma a livello di un altro significante che viene rimandato all’analizzante. Qui si incontra un paradosso: Freud aveva introdotto l’idea di un rimosso originario che mai diventerà accessibile. A questo punto tutto ciò che un analizzante dice ruota attorno a qualcosa che non può essere detto, Lacan lo ha chiamato “il nodo dell’ininterpretabile” e Gorostiza lo elegge a principio della pratica analitica. Ciò che viene detto dall’analizzante è sempre metonimico, deviato rispetto al rimosso originario; dal canto suo l’analista ha davanti a sé la possibilità di due soli tipi di interpretazione:

a) l’interpretazione che punta al significante ultimo, S1, un significante staccato dalla catena significante, asemantico, che non si lega agli altri significanti. L’interpretazione che mira a produrre S1 è metaforica: anche il rimosso originario non appare e viene sostituito da qualcos’altro (un altro significante);

b) l’interpretazione che punta a collocare il non detto nell’oggetto a come più-di-godere. Sia che intendiamo a come oggetto causa che come oggetto della pulsione, l’interpretazione è metonimica, ha un carattere allusivo, perché il godimento è metonimico .

Questa è una risonanza che non ha a che fare con il senso ma punta a ridurre i significanti al loro non senso per trovarvi ciò che ha determinato le condotte del soggetto. S1 è l’osso del sintomo, la lettera, un significante privo di significato, ciò che porta alla ripetizione, un elemento staccato dalla catena, fuori discorso, che vale come elemento di reale e il reale non si interpreta.

3. Conclusioni
Per ciò ho potuto comprendere, tutti gli sviluppi futuri dell’insegnamento di Lacan a proposito dell’interpretazione sono un’evoluzione di quel primo algoritmo saussuriano S/s, che apre a ciò che verrà dopo:
• evitare di far proliferare il senso, per cui l’analisi opera “per via di levare” ,
• l’interpretazione che si situa fra l’enigma e la citazione ,
• l’interpretazione come equivoco (omofonico, logico, grammaticale) ,
• l’interpretazione come taglio che impedisce a S1 e a S2 di fare catena per isolare gli S1,
• nel suo commento al Seminario Il sinthomo, Miller riporta una frase di Lacan pronunciata durante le conferenze americane del 1976: l’interpretazione non è fatta per essere compresa ma per produrre delle onde .

Per terminare, le parole di Esthela Solano:
Oggi la pratica può trovarsi confrontata con l’esigenza di rinnovarsi. Può regolarsi in base ai nuovi sintomi e può anche regolarsi ancor di più sullo smercio elevato, ma senza per questo transigere di una virgola sui suoi principi. E i suoi principi si fondano ancora, e sempre, nel mantenimento del dire di Freud, da cui essa può rinnovare i propri detti.





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