Jacques Lacan, Ancora.

"l'inconscio non è che l'essere pensa, l'inconscio è che l'essere, parlando, gode, e, aggiungo, non vuole saperne di più.
Aggiungo anche che questo vuol dire non sapere assolutamente niente".


J. Lacan, Il Seminario XX, Ancora.


23 giu 2013

Allentare le maglie del discorso riabilitativo
Pazzaglia Gabriele





La questione di come applicare la psicoanalisi al di fuori dell’ambito della seduta analitica ha occupato la riflessione degli analisti fin dall’inizio. Si va dalla sua applicazione con la psicosi, all’intervento con i bambini ecc. Negli anni ’70 e ’80, dove la psicoanalisi era ancora uno dei punti di riferimento più seguiti anche nell’ambito del sociale, erano essenzialmente tre i modi di intervento. Uno era il filone della psicodinamica applicato in particolare alla psicosi. Il problema essenziale fu che però non si era trovato un metodo chiaro di applicare anche il metodo, e non solo i concetti, analitici. Il secondo modo era quello della supervisione di operatori di comunità e istituzioni. Qui il problema essenziale fu che l’effetto della supervisione era quello di produrre una sorta di iper "soggetto supposto sapere". Il terzo modo era quello di introdurre il setting analitico all’interno dell’istituzione sia attraverso colloqui individuali sia attraverso modalità di gruppo. Qui si creava l’effetto che sembrava che l’unica cosa importante fossero questi momenti, mentre tutto il resto era pura assistenza o contenimento. In sintesi come dice Gil Caroz: "…sono stati largamente descritti gli effetti controproducenti dell’identificazione all’analista all’interno di un’istituzione. Spostare il divano dell’analista nell’istituzione, in senso proprio e in senso figurato, sembra essere controindicato". In questo senso la prima cosa interessante che ho incontrato nel Campo freudiano è stato il concetto e l’esperienza della pratica a diversi. La seconda è stata la teoria dei cicli che ovvia al problema del tempo spesso determinato degli interventi sociali. Nello stesso tempo mi pare sia mutato l’atteggiamento nel confronti del discorso istituzionale in se. Mentre prima passava una sorta di necessità di informare tutto al discorso analitico, l’intervento di Goristiza a chiusura dell’ultimo congresso mondiale AMP segna una svolta chiara e, a mio avviso, salutare:


Ogni volta che ci sia una spinta verso l’esclusione" della psicoanalisi, cioè, un rifiuto del buco, dobbiamo rispondere con l’"intrusione" della psicoanalisi nella politica. Ma come? Con una politica della "modestia anti-universale", con una logica eterodossa dell’estimità, facendo ricordare ai politici che sempre c’è un buco, cioè, che c’è l’inconscio. Questo è il mio modo di capire ciò che Jacques-Alain Miller chiamò nel cosiddetto comunicato, "Attivare la potenza delle lacune". Perché, come egli stesso segnalò nel 2008 "….per gli psicoanalisti non servirebbe a niente proiettare la sua politica senza mediazione nell’universale, i suoi principi, la sua etica, rivendicando l’adesione di tutti, denunciando un mondo che sacrificherà ogni singolarità alla statistica".


Per circa 10 anni ho operato nelle scuole all’interno di quelli che vengono chiamati Servizi di consulenza psicologica o Sportelli ascolto. I Servizi si affiancavano ad altre attività presenti all’interno delle scuole come ad quelli forniti dall’Azienda Sanitaria Locale per i soggetti cosiddetti "segnalati" cioè per coloro che avevano diagnosi che andavano dai disturbi dell’apprendimento fino alle patologie di maggior rilievo. Qui vorrei soffermarmi proprio su due adolescenti, due ragazzine "segnalate", che si sono rivolte al Servizio di consulenza pur usufruendo già di questi interventi. Cosa venivano a domandare queste adolescenti che altrove non trovavano? In un caso una, con lieve ritardo, aveva bisogno di uno spazio per elaborare le sue difficoltà di rapporto con gli altri senza subito essere bombardata da soluzioni preconfezionate o indicazioni moraleggianti. Cosa che fece costruendo, ogni volta, delle sue soluzioni non certamente perfette ma consone a lei e alla situazione. L’altra, con una probabile psicosi, aveva la necessità di elaborare le conseguenze di un incontro traumatico con il padre che fino ad un certo momento della sua vita non aveva conosciuto. Dunque questi esseri parlanti chiedevano uno spazio dove domanda, bisogno e desiderio si potessero articolare. Dimensione che non sarebbe potuta avvenire se la loro domanda fosse stata subito o solo inserita nel discorso socio-riabilitativo che la avrebbe ridotta a bisogno da colmare, a deficit da sanare.